«Con “Greetings From Fireland” ho messo da parte la poesia e messo avanti una retorica forte, perfino azzardata, che non può essere nascosta. È un titolo spiazzante di un disco che ha una connotazione anche in chiave rock, per alludere a un suono di protesta, per incastrare le parole sui ritmi, nonostante il rock non sia il mio mondo musicale».
Più che un territorio circoscritto, la sua “Terra di Fuoco” sembra rappresentare uno stato d’animo condiviso in tempi bui di populismi, di nuovi muri che si innalzano, dall’Europa all’America, di «nichilismo che avanza, e che si sta mangiando tutto», mi dice Luca al termine del suo concerto napoletano al Teatro Bolivar, dove ha presentato il suo nuovo album pubblicato dalla piccola ma attivissima etichetta partenopea SoundFly. “Greetings from…. “, è la tipica formula di saluto che accompagnava le cartoline di viaggio prima di Instagram. Quale la genesi delle missive che compongono questo nuovo lavoro? «Di solito, come modello di scrittura, scrivo prima i testi e poi faccio i ritmi. Ho cominciato a suonare anche la chitarra. Le canzoni sono strutturate su due o tre accordi al massimo. Poi ho avuto la fortuna di lavorare con musicisti bravissimi come Pasquale Ziccardi (basso acustico e chitarra acustica), Michele Signore (violino, mandoloncello, lira pontiaca) e Pietro Cioffi (pianoforte e tastiere). Oltre a Michele e Pasquale dal vivo ci sono Giovanni Parillo (pianoforte), Carlo di Gennaro (batteria) e Mimmo Di Domenico, che ho conosciuto da poco: un napoletano di Fuorigrotta, che mi ha impressionato per il suo percussionismo ‘old school’, i suoi pattern ritmici e l’uso della body percussion. Nel disco il sound si è riempito a man mano, soprattutto grazie al lavoro di arrangiamento e alle dinamiche create da Michele Signore: io avevo solo idee ritmiche, linee melodiche semplici e testi in napoletano». Un lavoro che si configura come un «canto-contro o un contro-canto», come ha lo ha definito Rossi. Il CD è aperto da un potente ritmo di tammurriata dato da tamburi a cornice e nacchere che avvolge la voce di un musicista itinerante raccolta in strada (“Via Sergio Bruni”); l’incalzante title-track fonde pulsione rock e sfumature mediorientali (il mandoloncello di signore) per urlare tutta la disillusione: «Questa terra da fuggire dove sempre vuoi tornare col passato da capire e il futuro da rifare», canta Luca in un canzone che rimescola immagini della realtà del Sud, per lanciare un battito di speranza.
(Blogfoolk)